Fast o slow medicine oppure fast e slow medicine?
Negli anni di professione ho sempre pensato che la medicina fosse formidabile nell’affrontare condizioni acute, ma mostrasse molti limiti quando si proponeva di ‘curare’ malattie croniche o addirittura di prevenirle. Con Slow Medicine abbiamo contrapposto la slow alla fast medicine. Ora, leggendo il recente libro di Victoria Sweet (Slow Medicine – The way to healing) mi ritrovo in una sua riflessione (pg. 138): “La medicina occidentale, la Fast Medicine, affronta con efficacia le malattie acute, ma non svolge un buon lavoro nel affrontare la malattie croniche che si sviluppano lentamente. Per questo mi piace l’idea di poter disporre di un secondo modello che mi permetta di capire i miei pazienti. […] La medicina occidentale ha una grande debolezza. Dà un senso ai dettagli, ma non all’insieme”. Ci sono condizioni – infarto cardiaco, addome acuto, crisi ipertensiva, politrauma da incidente, frattura del collo del femore – per le quali l’efficienza dell’ospedale, la competenza dei professionisti e la dotazione tecnologica possono fare la differenza tra la vita e la morte, tra l’insorgenza o meno di complicazioni; le prove prevalgono sulle aspettative personali. Ci sono condizioni – lo stile di vita dopo un infarto, le statine nella prevenzione primaria, la scelta tra due trattamenti elettivi, la partecipazione a screening – per le quali non ci sono prove convincenti che una scelta sia meglio di un’altra; in questi casi la soggettività del paziente deve prevalere. Penso che immaginare una complementarietà tra la fast e la slow medicine ci permetta di affrontare meglio i problemi clinici dei nostri pazienti.